La tematica è certamente scottante, ma semplicemente ignorarla fingendo che non esista oppure minimizzandola il più possibile non è la corretta soluzione per affrontarla. E dunque, è sicuramente meglio guardarla “faccia a faccia” e dire le cose come stanno. Il licenziamento continua ad essere un problema reale in Italia, conseguenza di un’economia che in alcuni settori si sta risollevando, ma in generale non può definirsi completamente uscita dalla crisi. La domanda cruciale è un’altra, però: che cosa fare dopo un licenziamento?
Andiamo con ordine. Ad oggi la soglia dei licenziamenti è diminuita, grazie anche alle misure prese in questo senso. Dall’approvazione del Jobs Act infatti, volto a tutelare i lavoratori e i loro diritti, il tasso dei licenziamenti è sceso al 5,3%: si tratta comunque di numeri da non sottovalutare, considerando anche che molto spesso dietro un dipendente che perde il lavoro c’è un’intera famiglia. Ma dall’altra parte, significa che rispetto al periodo precedente si sono verificati 80 mila licenziamenti in meno.
Che cosa fare dopo un licenziamento?
Quel che ci preme in queste righe però è spiegare come comportarsi nell’eventualità di trovarsi ad affrontare una situazione del genere: nel caso, non augurabile a nessuno, di dover gestire le conseguenze di un licenziamento inatteso. In questo scenario, la legge parla in modo abbastanza chiaro. Bisogna subito fare una prima distinzione: il lavoratore ritiene il licenziamento legittimo oppure no? Nel secondo caso, è possibile seguire un percorso stabilito dalla legge, che prevede una fase stragiudiziale ed una, successiva, giudiziale.
Nel caso in cui invece non si voglia, o non ci sia motivo di, intraprendere una “battaglia” contro coloro che hanno comminato il licenziamento, il dipendente che ha subito la cessazione del rapporto di lavoro ha diritto ad un trattamento assistenziale da parte dell’Inps. Trattamento che resta però vincolato ad alcuni requisiti, che vedremo.
In che modo deve agire quindi una qualsiasi persona che si trovi ad essere licenziata? Per prima cosa, presentare all’Inps la domanda per la richiesta della prestazione (domanda di disoccupazione), comunicando per l’appunto la cessazione del rapporto di lavoro precedentemente in atto. A quale scopo? Quello di ottenere una tutela durante il periodo di ricerca di un nuovo lavoro.
Tutela che si manifesta, a seconda dei casi specifici, attraverso quattro diverse modalità:
- La Naspi, comunemente conosciuto come assegno di disoccupazione
- Il reddito di inclusione
- La Dis-coll per tutti coloro che erano legati al precedente lavoro tramite un contratto di collaborazione
- In caso di prolungata necessità dopo i mesi di Naspi, l’assegno di ricollocazione
Come ottenere queste agevolazioni, e chi può farlo
Le strade per presentare la domanda di disoccupazione sono tre: rivolgersi ad un Patronato, chiamare il numero verde dedicato (803.164 da telefono fisso; 06.164164 con tariffa da cellulare), consultare il sito apposito. Soluzioni che cercano quindi di venire incontro a persone di tutte le fasce di età e che tengono conto delle possibili difficoltà nello svolgere la richiesta online.
Prendiamo inizialmente in considerazione la Naspi: questo provvedimento è valido per tutti coloro che sono stati licenziati nel settore privato, che fanno domanda per ottenerla entro i 68 giorni dalla cessazione del lavoro e che rientrano nei seguenti parametri. In primo luogo è ovviamente necessario risultare effettivamente disoccupati, e quindi aver presentato la domanda di iscrizione con disponibilità immediata presso i Centri per l’impiego.
Poi, il lavoratore deve aver versato negli ultimi quattro anni almeno 13 settimane di contributi, e allo stesso tempo aver accumulato almeno 30 giorni di lavoro effettivo nell’anno precedente al licenziamento. La Naspi può durare fino a un massimo di 24 mesi. Diverso invece il discorso per la cessazione del rapporto di lavoro domestico, per il quale la domanda va presentata entro soli cinque giorni dopo il licenziamento.